La narrazione e la sua specifica, lo story telling, sono sia tecniche che dimensioni dell’essere organizzativo (e sociale) pervasive e trasversali a ogni attività: dalla formazione al change management, dalla consulenza sui processi alla comunicazione. In altri termini non vi è dimensione della vita organizzativa che non abbia a che fare con la dimensione della narrazione.

Questo anche perchè la narrazione pare abbia a che fare col nostro modo di vivere e pensare, di organizzare il mondo: siamo animali narrativi tanto quanto sociali e per convincersene basta fare l’esperimento mentale di eliminare la dimensione della narrazione dalla nostra esperienza per verificare cosa resta dell’umano.

 

Inoltre, l’elemento chiave della narratività sta nella determinazione concreta di un tema: il radicamento in una sequenza di fatti narrati fa sì che, invece di ragionare in termini puramente astratti, i soggetti si ritrovino ad affrontare le questioni in gioco in modo effettivo ed effettuale, senza contare che la forza significativa di una storia è sempre maggiore di quella di un semplice ragionamento avulso da riferimenti ad attori e situazioni concrete, calati nel tempo e in contesti determinati. Detto in modo logico-filosofico, la narrazione aggira la dicotomia universale/particolare (il concetto ‘gatto’/quel gatto) per proporre, esibire, l’esempio illuminante ovvero il caso esemplare (ecco, quel gatto – è un gatto).

 

Detto questo, ovvero che di narrazione e story telling ce n’è ovunque e a buon diritto, resta solo da chiarire in che modo la si può usare. Ma anche qui il discorso sarebbe quasi infinito: elementi o frames  narrativi possono essere utilizzati in quasi ogni momento o fase dei processi di consulenza e formazione e sono utili tanto per indagare o giustificare come per ricercare e immaginare soluzioni, come pure per renderle efficaci. Mi limiterò pertanto a dire solo come la uso di solito e quali sono le eccellenze – o le particolarità – che apporto:

 

1)    Quale uso ne faccio. A prescindere dalle classiche (ormai) azioni o interventi di story telling utilizzate in processi di comunicazione sia interna che esterna, utilizzo la narrazione come elemento chiave di tutte le altre “tecniche” di cui sono specialista: la psicologia strategica, le pratiche filosofiche e l’intelligenza empatico sociale (tralascio per ora la rilevanza, nota, della narrazione nell’ambiente e nella pratica psicoanalitica). Di regola sono parti di altre attività, ma non infrequentemente possono assurgere a una sorta di autonomia: mi è capitato di effettuare almeno un paio di interventi di change management centrati sulla narrazione – di quel che è successo, di quel che potrebbe succedere, di quello che vorremo succedesse, lavorando sugli scostamenti tra le tre dimensioni di cui sopra per individuare la “storia” che ci traghetterà dall’as is al to be. Le narrazioni (di regola prodotte dagli attori coinvolti, ma a volte anche “già pronte”, come accade nelle attività che comportano la lettura o visione di romanzi o film) possono essere tanto orali che scritte, video o teatro ecc.  e possono insistere su qualsiasi oggetto o piano di focalizzazione. Da osservare che la narrazione si integra molto naturalmente con la metafora.

 

2)    Con quali particolarità. Rispetto a tanti altri consulenti posso vantare un’esperienza specifica nel campo della narrazione – una competenza esterna, al di là del lavoro di consulenza e formazione: ho infatti scritto e pubblicato con Mondadori tre libri narrativi (due romanzi e la storia  di un gruppo rock – cfr. la sezione opere), scritto e prodotto una trasmissione televisiva (Angeli per Telelombardia – cfr. la sezione opere) e studiato in modo approfondito la narratologia a un discreto livello di profondità: so la teoria e l’ho messa in pratica, in sostanza, e se faccio narrazione è anche perché sono un narratore.  Cosa che, a livello di conduzione, facilitazione e capacità di analisi, aiuta molto.