La Philosophische Praxis, ovvero philosophical practice (talvolta denominata anche philosophical counselling), tradotto in italiano con Consulenza Filosofica, è una pratica dialogica la cui origine viene fatta risalire al 1981, quando il filosofo Gerd Achembach prese a ricevere nel suo studio consultanti (nel suo vocabolario “ospiti”) per rispondere  alle loro domande e parlare dei loro problemi. Problemi di vita, pratici, esistenziali, etici: dalle separazioni allo sgomento di fronte alla morte, dal senso della vita a un particolare dilemma morale che metta in conflitto principi propri e della propria comunità di riferimento, dalle difficoltà ad accettare o gestire l’alienazione prodotta dal lavoro alle interrogazioni più o meno drammatiche sulla validità di un progetto di carriera. Quello utilizzato da Achembach era un “metodo” (termine che peraltro egli respinge, negando di averne uno) basato su un incontro aperto e dichiaratamente privo di preconcetti e pregiudizi, con un conseguente dialogo filosoficamente orientato dal punto di vista degli strumenti e delle tecniche discorsive utilizzate. Accoglienza, rispetto del pensiero e del vivere altrui, accettazione dell’altro, sincerità e pari dignità del dire di ambedue i dialoganti, amore e ricerca della verità facevano e fanno parte dell’approccio. La Consulenza Filosofica, che dai suoi ormai lontani esordi si è diffusa e riccamente diversificata in tutto il mondo, nasce come pratica a due, ma può essere effettuata anche con piccoli gruppi, forma che spesso prende negli interventi in seno alle organizzazioni.

 

Come si svolge: L’andamento della Consulenza filosofica è molto libero. Il punto di partenza è generalmente l’esposizione di un problema da parte del cliente. Ad esso segue la fase della sua chiarificazione, interpretazione e definizione attraverso procedure di pensiero caratteristiche del ragionamento filosofico: chiarificazione concettuale e dei termini, esame degli errori logici, analisi dei presupposti e delle conseguenze di credenze, desideri, sentimenti ed emozioni, analisi dei sistemi valoriali e delle visioni del mondo soggiacenti, ricerca di una maggiore coerenza e integrazione del pensiero. Il processo è stato variamente formattato da diversi consulenti filosofici ma va detto che quasi tutti i consulenti filosofici convengono sul fatto che, come probabilmente intendeva Achenbach, sia pressochè impossibile definire in modo preciso fasi o moduli del processo, che nel migliore dei casi si ritrovano embricate tra loro da movimenti di feedback e inglobalizzazione reciproca.

Cosa accade: Il processo consulenziale, come già sopra accennato, mette in gioco una sorta di pensiero gruppale a due, dall’andamento, meditativo e problematizzante. Non c’è nessuna fretta né esigenza di “arrivare a una soluzione”, quanto piuttosto di esplorare ogni aspetto delle questioni che via via si presentano ai dialoganti come rilevanti. Di fatto ciò comporta solitamente un ampliamento dell’orizzonte del pensiero e la costituzione di un’ampia e complessa costellazione problematica, dove hanno comunque importanza fondamentale i vissuti, le emozioni e sentimenti, con un continuo gioco tra rilevazione del dato particolare e  la sua definizione e chiarificazione attraverso l’inserimento in un più ampio sistema concettuale. Il processo ha di regola effetti di ristrutturazione cognitiva dei problemi/temi in discussione, ovvero conduce a svolte, fortemente connotati da emozione e senso di scoperta, che portano a una nuova comprensione delle cose, e con essa a un nuovo modo di percepirle, viverle e farle. Da questo punto di vista va detto che se la Consulenza Filosofica mette in campo processi di problem building e problem setting, non per questo non genera, come effetti collaterali, effetti di problem solving.